PinkBook Selection
lunedì 28 gennaio 2013
recensione: VITA DI PI di Yann Martel
Titolo: Vita di Pi
Autore: Yann Martel
Pagine: 336 pp.
Editore: Piemme
Trama: Piscine Molitor Patel è indiano, ha sedici anni, è affascinato da tutte le religioni, e porta il nome di una piscina. Nome non facile che dà adito a stupidi scherzi e giochi di parole. Fino al giorno in cui decide di essere per tutti solo e soltanto Pi. Durante il viaggio che lo deve condurre in Canada con la sua famiglia e gli animali dello zoo che il padre dirige, la nave mercantile fa naufragio. Pi si ritrova su una scialuppa, alla deriva nell'Oceano Pacifico, in compagnia soltanto di quattro animali. Tempo pochi giorni e della zebra ferita, dell’orango del Borneo e della iena isterica non resta che qualche osso cotto dal sole. A farne piazza pulita è stato Richard Parker, la tigre del Bengala con cui Pi è ora costretto a dividere quei pochi metri. Contro ogni logica, il ragazzo decide di ammaestrarla. La loro sfida è la sopravvivenza, nonostante la sete, la fame, gli squali, la furia del mare e il sale che corrode la pelle. Il loro è un viaggio straordinario, ispirato e terribile, ironico e violento, che ci porta molto più lontano di quanto avessimo mai potuto immaginare. A scoprire che la stessa storia può essere mille altre storie. E che riaccende la nostra fede nella magia e nel potere delle parole.
Recensione a cura di Stefania Scarano:
Il romanzo si apre con delle precisazioni dell'autore, che da scrivere un libro sul Portogallo si ritrova in India in cerca di ispirazione e si imbatte in una storia che farà credere in Dio, quella di Pi, per l'appunto.
Pi è il diminutivo di Piscine, eh si, il protagonista è stato chiamato così in onore di una piscina visto che il suo padrino era un esperto nuotatore, tale nome l'ha tormentato durante l'infanzia ma è riuscito a riappropriarsene durante l'adolescenza.
Pi ha una laurea in zoologia ed una in teologia per cui si narra all'inizio di queste sue passioni, gli animali e la religione, questi capitoli sembrano un pò ridondanti ma, in seguito, servono a far capire meglio la mente di Pi e le sue azioni.
All'inizio il racconto è intervallato da interventi dell'autore che apprende la storia di Pi da un uomo che gliela racconta, quindi l'autore incontra Piscine in Canada, nella sua casa, conoscendone moglie e figli nonchè la storia della sua grande avventure.
Piscine viveva con i genitori e suo fratello Ravi in uno zoo gestito da suo padre, da qui l'interesse per gli animali e la loro conoscenza, prima pratica e poi teorica. Durante la sua adolescenza, i genitori decidono di trasferirsi in Canada e così, venduti qua e là gli animali, partono con alcuni di essi alla volta dell'America su una nave mercantile giapponese.
Dopo i primi giorni di navigazione Pi si sveglia nella notte a causa di un rumore, esce a guardare cosa fosse successo e si ritrova a vedere la nave inclinarsi sempre più, cerca di tornare dalla sua famiglia ma la strada è bloccata dall'acqua, si rivolge ai membri dell'equipaggio che trova ma, si ritrova scaraventato su una scialuppa di salvataggio e miracolosamente sopravvive al naufragio. Per giorni attende i soccorsi, di trovare altre scialuppe ma, dopo una settimana, la consapevolezza di trovarsi solo in mezzo al Pacifico lo assale e razionalizza che ormai è orfano e deve cavarsela da solo.
Pi, non è proprio solo, si ritrova infatti con una zebra ferita, una iena, un orango ed una tigre, come potranno convivere in uno spazio così ristretto e senza apparentemente risorse?
Tra lotta per la sopravvivenza umana ed animale, Pi si ingegna per recuperare acqua e cibo riuscendo a convivere con una tigre e scoprendo una misteriosa isola, di giorno quasi un'oasi ma di notte famelica.
Un giorno, finalmente, Pi riuscirà a raggiungere le coste Americane e, interrogato sulla propria odissea nell'ambito delle indagini per il naufragio, verrà creduto pazzo e darà una nuova versione, del tutto simile, in cui i ruoli sono ricoperti da umani piuttosto che animali. Ma, la vera storia qual è?
Lascio a voi scoprire i dettagli ed immaginare la realtà della storia di Pi.
Mi è piaciuto come Pi affronta la religione coinvolgendosi contemporaneamente con il cristianesimo, l'islam e l'induismo proprio della sua tradizione, senza dimenticare di menzionare l'ateismo, con grande rispetto e comunione, mettendo in evidenza ciò che è alla base di tutte le religioni e non sottolineando le differenze. Forse pensieri troppo profondi per un ragazzino degli anni settanta ma che, di sicuro, sanno colpire noi ai giorni nostri visto che ci ritroviamo spesso vittime di conflitti interreligiosi.
Scrittura fitta ma scorrevole, numerosi capitoli sezionati senza apparente senso e tre macro capitoli che dividono il romanzo in base al loro contenuto.
domenica 27 gennaio 2013
Recensione: ECLISSI di Francesco Mastinu
ECLISSI
Francesco
Mastinu
Titolo:
Eclissi
Autore: Francesco
Mastinu
Editore: Lettere Animate
Pagine: 192
Prezzo: € 13.00
TRAMA:
In un paese in
cui l'omosessualità viene considerata ancora un tabù e una grande vergogna,
Francesco Mastinu racconta la vita di due uomini e della loro storia insieme.
Riccardo ragazzo alla
fine del suo percorso di studi, incontra Alessandro, uomo ormai maturo che
cattura subito la sua attenzione.
Fra i due nasce
subito una grande intesa che ben preso sfocia in una passionale storia d'amore.
Finchè un giorno i
genitori di Riccardo vengono a conoscenza dell' omosessualità del figlio e
della sua relazione con Alessandro.
La loro reazione è
tuttaltro che comprensiva, e i rapporti con il figlio diventano sempre più
difficili e scontrosi.
Tra il dissenso dei
genitori, i problemi di coppia e vivere insieme si delinea un appassionante e
commovente storia.
Recensione di Giacomo
Martellos
Inizialmente non pensavo mi prendesse molto, non amando molto questo genere di
romanzi, ma dopo poche pagine ho dovuto ricredermi completamente, tanto che me
lo sono letto tutto d'un fiato.
L'autore ha delineato una storia molto realistica, che ho trovato incredibilmente
coinvolgente e toccante, fin quasi a farmi piangere.
Personalmente mi sono
ritrovato molto nel personaggio di Riccardo e nelle varie situazioni che deve
affrontare, sia nella coppia che nel rapporto con i genitori.
Ho trovato molto
bella la loro vita di coppia e come nel loro piccolo abbiano cercato di crearsi
una famiglia, grazie anche al continuo sostegno degli amici.
Mi piace molto come Mastinu riesce a tenere il lettore in uno stato di suspense con continui
flashback tra presente e passato, portandolo a porsi costantemente la
stessa domanda: com'è possibile che i due personaggi alla fine si separino?
La risposta la si
scopre solo alla fine, con un improvviso colpo di scena che commuove moltissimo.
L'autore ha usato un linguaggio molto semplice, scorrevole e alla portata di
tutti, senza l'uso di parole ricercate o con espressioni troppo forbite, ma al contempo senza risultare banale.
Consiglierei la lettura a persone già mature o comunque non troppo giovani, essendoci qualche scena abbastanza esplicita di sesso.
Il making of book
sabato 19 gennaio 2013
recensione di VITTIME DEL PECCATO, Brenda Joyce
Titolo: Vittime del peccato
Autore: Brenda Joyce
Pagine: 416
Editore: Harlequin Mondadori
Trama: Nei bassifondi di New York, tra segreti inconfessabili e passioni proibite, si cela un killer spietato. E solo lei può trovarlo.
New York, 1902. Francesca Cahill ai tè con le dame dell'alta società newyorkese preferisce combattere il crimine. Il suo talento di investigatrice privata la porta a indagare su alcune cruente aggressioni, avvenute nei bassifondi della metropoli a danno di giovani donne. Le prime due vittime sono sopravvissute, mentre per la terza si tratta di omicidio. Sembra proprio che per le strade di New York si aggiri un serial killer e Francesca non si darà per vinta finché non lo avrà fermato. Sembra che l'unica pista da seguire non porti a niente. Che cosa hanno in comune le vittime, oltre a essere giovani e irlandesi? Il tempo stringe, la paura ormai dilaga per le strade del quartiere. C'è un pazzo da catturare.
Recensione a cura di Stefania Scarano:
Siamo a New York nel 1902, il romanzo si apre con l'omicidio di una giovane donna, sembra opera di un serial killer che ci ha provato in precedenza con altre due giovani. Sul posto arriva Francesca, giovane investigatrice diventata tale un pò per caso, ex amante del commissario Rick Bragg e ora fidanzata col suo fratellastro Colder Hank.
Il killer, denominato Coltello per l'arma che usa si fa via via più spietato, i sospetti si sprecano tra ex mariti, fidanzati e pretendenti eventualmente offesi delle vittime, è qualcuno che odia le donne, soprattutto quelle che ritiene a suo avviso delle traditrici e, quindi, poco di buono.
Presa dall'indagine Francesca si troverà a coinvolgere spesso il suo fidanzato e questi finirà con lo scontrarsi, inevitabilmente, con la figura del suo fratellastro Rick con cui è da sempre in competizione e di cui ritiene Francesca ancora innamorata. Colder è stato in passato un donnaiolo, è lo scapolo più ricco della città, conteso da molte donne e così mal visto dai genitori di Francesca tanto che suo padre, ad un certo punto, rompe il loro fidanzamento in cui non aveva riposto mai granchè speranza.
I guai per Francesca non sono solo a livello sentimentale, il killer le ha lanciato una sfida perchè sa chi è e cosa fa e siccome vede anche lei come una traditrice, la sua stessa vita verrà messa a rischio.
Riusciranno Francesca e Colder a coronare il loro sogno d'amore se il sentimento che provano è davvero sincero? Riuscirà Francesca a risolvere anche questo caso senza farsi del male? Lascio a voi scoprire il se e il come nel caso.
Tra amori non corrisposti o taciuti, passioni espresse o represse, pressioni esterne, inganni, riconcialiazioni e gelosie il romanzo è ricco di sentimento ed ha notevoli sfumature rosa nonostante il giallo di fondo. Soprattutto la passione si affaccia più volte ma, più come sentimento che come atti veri e propri.
venerdì 18 gennaio 2013
recensione: IL PROFUMO DELLE BUGIE di Bruno Morchio
Titolo: Il profumo delle bugie
Autore: Bruno Morchio
Pagine: 210
Editore: Garzanti Libri
Trama: La famiglia D'Aste è una delle più in vista della città: una ricchezza antica, continuamente accresciuta grazie all'attività immobiliare e a solide relazioni con i poteri forti del luogo, a cominciare dai politici.
Su tutti, nell'ampia villa con vista sul mare dove risiedono i D'Aste, domina il vecchio patriarca, il nonno Edoardo. Egli ha deciso di puntare tutto sul venticinquenne nipote Francesco: sarà il volto nuovo della famiglia, e a lui viene affidato il risanamento di un'area industriale dismessa.
Intanto crescono le tensioni fra Edoardo e i figli: il padre di Francesco, medico insicuro e nevrotico, e la sorella appena tornata da un lungo soggiorno in India. Sono proprio le donne, in casa D'Aste, ad avere un ruolo centrale negli equilibri e nelle faide familiari: la moglie di Edoardo, anziana e malata; sua nuora Rosita, che non essendo «nata bene» resta per sempre un corpo estraneo al clan; e soprattutto Dolores, la fidanzata di Francesco, con la sua leggerezza e la forza seduttiva della sua giovinezza e della sua sensualità. Sarà lei a scardinare l'ipocrisia che ha sempre regolato i rapporti familiari e a far divampare contrasti soffocati troppo a lungo, nell'arco di poche settimane – raccontate attraverso il punto di vista dei tre uomini della dinastia – che conducono a un Natale decisivo per la vita di tutti.
Recensione a cura di Stefania Scarano:
Il romanzo si apre al 25esimo compleanno di Francesco, figlio unico di Rosita e Meo (diminutivo di Bartolomeo), nipote di Ines ed Edoardo.
Meo e Rosita non hanno mai visto di buon occhio Dolores, fidanzata di Francesco dal liceo, non ritenendola all'altezza ma, è in questa occasione familiare che la ragazza sfoggia la sua cultura in tema di classici e Meo ritiene che abbia così messo in ridicolo suo figlio che aveva preso un abbaglio su un autore russo.
Inizia una battaglia famigliare tra pro e contro Dolores che dilania soprattutto Meo finchè coglie sul cellulare dell'arzillo padre un sms che pensa scritto dalla nuora e va letteralmente in tilt. Si confida con la ritrova sorella minore, Lena, che cercherà le prove di tale tresca scoprendo la verità.
I pezzi del puzzle che è questa famiglia via via si compongono, i segreti vengono alla luce specie dopo la dipartita di Ines, malata da tempo.
Sembra che l'ordine si stia ristabilendo tra i vari componenti della famiglia e invece Meo finalmente si lascia vivere, si abbandona ai suoi desideri e pensieri e giusto a Natale decide di spiazzare tutti col suo cambiamento e le sue "rivelazioni".
Ogni famiglia ha i suoi problemi, i suoi segreti ma, come dice Dolores quella dei D'Aste è una famiglia diversa dalle altre per cui non stupitevi troppo per le rivelazioni voi che ne leggete.
Quando ormai il profumo delle bugie avrà perso il suo fascino, per Edoardo e la famiglia sarà la fine della vita che hanno sempre vissuto ma, ciò rappresenterà anche il trionfo della dura verità.
E' il primo romanzo che leggo di questo scrittore ed ho trovato insolito che i capitoli siano intitolati con le prime parole, nemmeno la frase intera, che apre il capitolo stesso. Si tratta quasi di una anteprima piuttosto che di una parola chiave.
Lo stile è scorrevole, la dialettica affetta da francesismi tali da risultare reale e vicina ai nostri tempi sebbene, a volte, troppo incisiva.
Autore: Bruno Morchio
Pagine: 210
Editore: Garzanti Libri
Trama: La famiglia D'Aste è una delle più in vista della città: una ricchezza antica, continuamente accresciuta grazie all'attività immobiliare e a solide relazioni con i poteri forti del luogo, a cominciare dai politici.
Su tutti, nell'ampia villa con vista sul mare dove risiedono i D'Aste, domina il vecchio patriarca, il nonno Edoardo. Egli ha deciso di puntare tutto sul venticinquenne nipote Francesco: sarà il volto nuovo della famiglia, e a lui viene affidato il risanamento di un'area industriale dismessa.
Intanto crescono le tensioni fra Edoardo e i figli: il padre di Francesco, medico insicuro e nevrotico, e la sorella appena tornata da un lungo soggiorno in India. Sono proprio le donne, in casa D'Aste, ad avere un ruolo centrale negli equilibri e nelle faide familiari: la moglie di Edoardo, anziana e malata; sua nuora Rosita, che non essendo «nata bene» resta per sempre un corpo estraneo al clan; e soprattutto Dolores, la fidanzata di Francesco, con la sua leggerezza e la forza seduttiva della sua giovinezza e della sua sensualità. Sarà lei a scardinare l'ipocrisia che ha sempre regolato i rapporti familiari e a far divampare contrasti soffocati troppo a lungo, nell'arco di poche settimane – raccontate attraverso il punto di vista dei tre uomini della dinastia – che conducono a un Natale decisivo per la vita di tutti.
Recensione a cura di Stefania Scarano:
Il romanzo si apre al 25esimo compleanno di Francesco, figlio unico di Rosita e Meo (diminutivo di Bartolomeo), nipote di Ines ed Edoardo.
Meo e Rosita non hanno mai visto di buon occhio Dolores, fidanzata di Francesco dal liceo, non ritenendola all'altezza ma, è in questa occasione familiare che la ragazza sfoggia la sua cultura in tema di classici e Meo ritiene che abbia così messo in ridicolo suo figlio che aveva preso un abbaglio su un autore russo.
Inizia una battaglia famigliare tra pro e contro Dolores che dilania soprattutto Meo finchè coglie sul cellulare dell'arzillo padre un sms che pensa scritto dalla nuora e va letteralmente in tilt. Si confida con la ritrova sorella minore, Lena, che cercherà le prove di tale tresca scoprendo la verità.
I pezzi del puzzle che è questa famiglia via via si compongono, i segreti vengono alla luce specie dopo la dipartita di Ines, malata da tempo.
Sembra che l'ordine si stia ristabilendo tra i vari componenti della famiglia e invece Meo finalmente si lascia vivere, si abbandona ai suoi desideri e pensieri e giusto a Natale decide di spiazzare tutti col suo cambiamento e le sue "rivelazioni".
Ogni famiglia ha i suoi problemi, i suoi segreti ma, come dice Dolores quella dei D'Aste è una famiglia diversa dalle altre per cui non stupitevi troppo per le rivelazioni voi che ne leggete.
Quando ormai il profumo delle bugie avrà perso il suo fascino, per Edoardo e la famiglia sarà la fine della vita che hanno sempre vissuto ma, ciò rappresenterà anche il trionfo della dura verità.
E' il primo romanzo che leggo di questo scrittore ed ho trovato insolito che i capitoli siano intitolati con le prime parole, nemmeno la frase intera, che apre il capitolo stesso. Si tratta quasi di una anteprima piuttosto che di una parola chiave.
Lo stile è scorrevole, la dialettica affetta da francesismi tali da risultare reale e vicina ai nostri tempi sebbene, a volte, troppo incisiva.
domenica 13 gennaio 2013
“IL SEGNO DELL’UNTORE” DI FRANCO FORTE NEGLI OSCAR BESTSELLERS MONDADORI
Ve ne avevo già parlato de Il segno dell'untore. La prima indagine del notaio criminale Niccolò Taverna (Mondadori) di Franco Forte, un anno fa alla sua uscita, e QUI potete leggere la mia recensione. Per chi non lo avesse ancora letto, vi comunico che nei prossimi giorni il romanzo sarà distribuito in tutte le librerie e sugli store online in versione tascabile (negli Oscar Bestsellers). Approfittatene!
L’uscita del romanzo nella prestigiosa collana degli Oscar Bestsellers è un
segnale non indifferente, in questo periodo di crisi, perché solo i libri che
hanno venduto più di 30.000 copie in
rilegato riescono ad avere accesso alla collana di punta dei tascabili
Mondadori, identificata proprio per questo come il contenitore dei romanzi
bestsellers del gigante di Segrate.
IL SEGNO DELL'UNTORE
di
Franco Forte
Titolo: Il segno dell’untore
Autore: Franco
Forte
Collana: Oscar
Bestsellers Mondadori
Pagine: 343
Prezzo: 10.50
euro
Il libro
Milano, anno
del Signore 1576. Sono giorni oscuri quelli che sommergono la capitale del
Ducato. La peste bubbonica è al suo culmine, il Lazzaretto Maggiore rigurgita
di ammalati, i monatti stentano a raccogliere i morti. L’aria è un miasma opaco
per il fumo dei roghi accesi ovunque.
In questo
scenario spettrale il notaio criminale Niccolò Taverna viene chiamato a
risolvere due casi: un furto sacrilego in Duomo e un brutale omicidio. Chi ha
assassinato il Commissario Inquisitoriale Bernardino da Savona? E perché? E chi
ha rubato il candelabro di Benvenuto Cellini dal Duomo?
La figura
del notaio criminale che si muove nel suggestivo scenario della Milano del
1500, dominata dalla Corona di Spagna e minacciata dalle continue epidemie di
peste, è alla base del romanzo “Il segno
dell’untore” di Franco Forte (Mondadori), che ha per protagonista il
giovane magistrato Niccolò Taverna nella capitale del Ducato nel 1576.
Investigatore
astuto, intelligente, grande osservatore di particolari che sfuggono a
inquirenti e criminali, Niccolò Taverna si trova a dover risolvere difficili
casi di omicidio in un clima di tensione tra il Governatore della città, il
potere clericale, rappresentato dalla figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo, e
la Santa Inquisizione spagnola, che vede nell’arcigna figura di Guaraldo
Giussani il suo nume tutelare.
Nel primo
romanzo delle indagini di Niccolò Taverna, questo straordinario personaggio che
sfrutta tecniche investigative a volte sorprendentemente moderne, per quanto
perfettamente calate nel contesto storico in cui si muove (e ben documentate
dall’autore) si muove in un mondo ricostruito alla perfezione, facendo compiere
al lettore un vero e proprio salto all’indietro nel tempo di quasi 500 anni, in
una Milano in cui, sullo sfondo del Duomo ancora in costruzione, delle colonne
di fumo che si sollevavano dai fopponi,
le fosse comuni in cui si bruciavano i morti di peste, dei conflitti di potere
tra Stato e Chiesa, la criminalità dilaga incontrastata e stupri, furti e
omicidi sono pratiche all’ordine del giorno.
Quella che
Niccolò deve seguire è un’indagine incalzante, con lo spettro incombente della
Santa Inquisizione che incombe ovunque, per risolvere un caso di omicidio che
potrebbe dimostrarsi molto pericoloso. Lo stesso arcivescovo Carlo Borromeo
pare implicato, così come le più alte cariche della Corona di Spagna e della
Santa Sede. Per non parlare dell’ordine degli Umiliati, che il Borromeo ha
cancellato e che già una volta ha cercato di uccidere l’arcivescovo di Milano.
Sfruttando
le sue straordinarie capacità investigative e le tecniche d’indagine
dell’epoca, il Notaio Criminale Niccolò Taverna cerca di venire a capo di
questi due intricati casi, che rischiano di compromettere la sua carriera e la
sua stessa incolumità. Pur sostenuto da un intuito eccezionale, è costretto a
combattere contro troppi nemici, tutti troppo potenti: pericolosi assassini, la
Santa Inquisizione, la peste, i cui artigli ghermiscono proprio chi Niccolò ha
di più caro.
Per il più
abile Notaio Criminale di Milano la sfida è aperta e la posta in gioco è alta:
la propria carriera e la propria incolumità. Oltre all’amore per una fanciulla
nei cui occhi ha l’impressione di annegare.
Un thriller
straordinario, che non concede soste al lettore, sostenuto da una rigorosa
ricostruzione storica.
L'intervista all'autore QUI!
L’autore

L’ESTRATTO DEL ROMANZO
per gentile concessione dell’autore
e di
Arnoldo Mondadori Editore
CAPITOLO PRIMO
12 agosto
1576
Ora prima
1
La prima
cosa che Niccolò Taverna sentì fu l’odore. Il lezzo greve dei corpi che
bruciavano nei fopponi, le grandi
fosse comuni scavate in città e nelle campagne, veri e propri varchi per
l’inferno che ardevano senza sosta, ma che non sembravano mai sufficienti per
accogliere i morti che riempivano le strade.
Niccolò si
agitò nel suo giaciglio, cercando di tenere gli occhi chiusi per non
svegliarsi, ma dopo l’odore furono i suoni ad aggredirlo, e la nausea gli
strinse la bocca dello stomaco. Si portò le mani sugli orecchi: tutto inutile.
Quelle grida, quei pianti, quelle urla isteriche ormai campeggiavano nella sua
mente da giorni, e non sarebbe bastato quel gesto a cancellarli.
Trattenendo
un gemito si mise seduto sul bordo del letto, poi aprì gli occhi e guardò
dall’altra parte della stanza, dove Anita aveva trascorso gli ultimi giorni con
lui, rantolando sul pavimento.
Era ancora
tutto come prima, come quando i monatti erano venuti a portargli via sua
moglie.
Niccolò
sapeva che avrebbe dovuto sbarazzarsi degli stracci, delle coperte e della
paglia intrisi di umori infetti che avevano fatto da giaciglio ad Anita.
Avrebbe dovuto bruciare tutto, come imponevano le ordinanze del tribunale di
Sanità e le gride del governatore
stesso, che tentavano disperatamente di arginare con quelle misure il dilagare
della peste, ma sapeva anche che se l’avesse fatto di Anita non gli sarebbe
rimasto più niente. Niente oltre al ricordo del suo viso pallido, dissanguato
dalla malattia, le pustole e i bubboni gonfi, il terrore negli occhi, velati
della follia che si impadronisce della mente quando la morte arriva a soffiarti
nelle nari.
Niccolò si
passò le mani sul viso e provò a respirare a fondo, ma il suo corpo si
rifiutava di inalare l’olezzo rancido di cui era impregnata la casa e che
filtrava dalle imposte, insieme alla finissima cenere in sospensione che nelle
ultime settimane aveva ammorbato l’aria di Milano. “Cenere di corpi
bruciati...”
Il pensiero
gli acuì la sensazione di malessere nello stomaco, e si sorprese di non essersi
ancora abituato alla vista di tante persone gettate nelle fosse comuni, perché
le fiamme purificassero la malattia che le aveva rese irriconoscibili.
Ma poi si
costrinse a dilatare le narici e a raccogliere aria nei polmoni, e quel gesto
fu determinante per costringerlo ad alzarsi e dirigersi all’armadio, dove prese
i vestiti e si preparò in fretta per uscire.
Mentre
indossava le calzebraghe e una camicia di cotone con polsi e colletto
arricciati, ripensò ai casi che aveva ancora in sospeso. Avrebbe dovuto agire
in fretta ma con tatto e discrezione, perché la gente non avrebbe capito le
necessità del suo incarico di notaio criminale e non sarebbe stata propensa a
seguire le disposizioni di legge e a sottoporsi agli interrogatori necessari
alle sue indagini.
Niccolò
sospirò e si allacciò in vita la cintura con i ganci per lo sfondagiaco
d’ordinanza, la borsa con i denari e gli strumenti del suo mestiere. Ai piedi
calzò morbidi mocassini di cuoio realizzati dagli artigiani di Porta
Vercellina, dono di suo zio Matteo Taverna, cugino di terzo grado del grande
Francesco, che era stato uno dei più illuminati governatori della capitale. Lui
non avrebbe mai potuto permetterseli. Il suo stipendio di magistrato gli bastava
appena per sopravvivere e per pagare l’esorbitante affitto mensile che il
proprietario del palazzo chiedeva per la sua stanza, soprattutto dopo che Anita
si era ammalata e lui si era lasciato abbindolare da guaritori senza scrupoli,
che lucravano sulle sofferenze della gente.
Quando fu
pronto lanciò un’ultima occhiata alle cose di Anita, ammassate in un mucchio
disordinato, e si disse che non poteva più rimandare. Sebbene il lavoro lo
reclamasse, doveva prima trovare sua moglie e scoprire se anche lei era
diventata parte della nube di cenere che gravava su Milano. O se era ancora
preda dei diavoli che le scavavano tane dolorose nel corpo e nell’anima.
Varcò deciso
la porta della stanza e si lanciò lungo le scale, tremando all’idea di ciò che
lo aspettava.
«Benedetto
ragazzo, dove corri con tanta furia?»
Svoltando
l’ultima rampa, Niccolò aveva quasi travolto una donna grassa che stava salendo
lentamente i gradini, sbuffando e tenendosi aggrappata al corrimano.
«Zia
Ofelia...» si scusò imbarazzato. «Sto andando da Anita. Ma lei...» scosse la
testa, senza aggiungere altro.
«Vuoi che ti
accompagni? Che ti prepari qualcosa per lei?»
«No, grazie,
non ce n’è bisogno» rispose Niccolò cercando di allontanarsi.
Zia Ofelia
lo fermò con una stretta poderosa. «Aspetta, portale una di queste» disse
indicando la cesta che teneva al braccio. «Le ho preparate con le mie mani.
Sono sicura che la povera Anita ne trarrà giovamento.»
Niccolò
trattenne un’imprecazione. Sapeva che non c’era altro modo per liberarsi di zia
Ofelia che accettare le sue offerte culinarie.
«Grazie» si
arrese, infilando la mano nella cesta e pescando qualcosa di molle, che
gocciolava.
«Stai
attento» lo mise in guardia lei, «è una birraia fresca, lasciata ad ammorbidire
per tutta la notte.»
Cercando di
nascondere il disgusto, Niccolò osservò la forma di pane duro intrisa di birra
acida che gocciolava sulle scale, minacciosamente vicino alle sue scarpe.
«Grazie»
disse, imponendosi di sorridere. «Anita la apprezzerà di certo. Ma adesso devo
proprio scappare.»
Niccolò si
allontanò tenendo la birraia gocciolante a un braccio di distanza dai suoi
preziosi mocassini, poi quando fu in strada, lontano dallo sguardo della zia,
lanciò la matassa spugnosa in un canaletto di scolo.
Anita aveva
sempre odiato la birraia, e non era certo quello il momento per convincerla ad
assaggiare le prelibatezze di zia Ofelia.
2
Doveva
essere appena scoccata l’ora prima, anche se Niccolò non poteva saperlo con
certezza. I campanili delle chiese tacevano da diversi giorni, dopo che il
battere dei rintocchi era diventato incessante, sospinto dal gran numero di
morti che si inseguivano ora dopo ora. Era stato lo stesso arcivescovo Borromeo
a ordinare il silenzio, che non era di spregio alle vittime ma contribuiva a
rendere meno fragoroso il pianto e l’urlo d’angoscia di tutta la città.
Niccolò era
grato all’archidiocesi per quel provvedimento, ma d’altro canto per lui lo
scandire delle ore dai campanili si era sempre dimostrato uno strumento valido
per organizzare il lavoro e cercare dei punti di riferimento durante le sue
indagini criminali.
Ma adesso
non ne aveva bisogno.
Mentre
scivolava lungo le strade, diretto al palazzo in cui era stato allestito uno
dei tanti provvisori centri di Sanità sparsi in ogni quartiere, Niccolò cercava
di guardarsi intorno il meno possibile. Teneva gli occhi puntati
sull’acciottolato resistendo al richiamo di urla disperate, grida strazianti,
suppliche d’aiuto o strilli di rabbia che provenivano dalle case sbarrate dai
monatti e dai commissari di Sanità per evitare che presunti malati di peste
uscissero a infettare le poche persone sane che ancora si aggiravano per la
città. Era difficile resistere allo strazio di quelle grida. Da un lato avrebbe
voluto intervenire per liberare quei poveracci che rischiavano di finire uccisi
dalla fame e dagli stenti, più che dalla malattia; ma dall’altro ricordava il
volto pallido di Anita, gli occhi infossati per la sofferenza, e la sua rabbia
quando gli aveva gridato di stare lontano da lei, di non avvicinarsi, prima di
perdere definitivamente il senno e crollare esausta sul suo giaciglio sporco,
le labbra spaccate e lo sguardo perso in un mondo che solo lei poteva vedere.
Il
governatore aveva fatto affiggere le sue gride
sui muri della città, esortando i cittadini a collaborare con le autorità
sanitarie, a restare chiusi in casa a meno che non fosse strettamente
necessario uscire, e aveva concesso ai commissari di Sanità un potere quasi
assoluto, quando si trattava di individuare focolai d’infezione. Ma il
Lazzaretto Maggiore e tutti quelli che erano stati improvvisati in ogni
quartiere erano pieni all’inverosimile, e non c’era stato altro modo per
cercare di tenere la situazione sotto controllo che chiudere in casa chiunque
desse segno dell’insorgenza della malattia, confinando all’interno anche
parenti e familiari, possibili portatori del contagio. I monatti sbarravano
porte e finestre inchiodandole con le assi e mettendo traversi di sostegno, in
modo che dall’interno diventasse impossibile abbatterle, e tutta quella gente
era costretta a restarsene imprigionata nella propria abitazione in attesa di
ammalarsi e di morire, oppure del miracolo che l’avrebbe riconsegnata al
perdono di Dio.
Ma ormai
erano troppi quelli costretti alla reclusione, e in tutta la città si levavano
grida ingannevoli: tanti asserivano di essere guariti o di non essere affatto
ammalati, e imploravano di essere liberati, piangevano, minacciavano, urlavano
esausti e smarriti.
Niccolò
scosse la testa per cercare di scacciare le immagini che quelle urla evocavano
nella sua mente. Solo l’anno prima, insieme ad Anita, aveva cominciato a
leggere la Divina Commedia dell’Alighieri, in una pregevole edizione a stampa
che si era diffusa velocemente in tutto il Ducato,
nonostante
fosse stata realizzata dal veneziano Ludovico Dolce, che si diceva fosse in
odore di eresia.
Avevano
letto diverse terzine con curiosità, poi, a mano a mano che si erano addentrati
nell’Inferno descritto dal poeta, avevano capito che Dante non si era scostato
troppo dalla realtà, e forse aveva solo descritto un mondo che aveva visto con
i suoi occhi, molto simile a quello in cui si stava dibattendo Milano sotto gli
strali della peste.
Eppure
Niccolò era convinto che nemmeno l’Alighieri avrebbe potuto immaginare un
girone dell’Inferno simile a quello in cui erano imprigionate centinaia di
persone in quel momento, costrette a convivere con i propri ammalati, a
respirare l’aria malsana intrisa dell’odore degli umori infetti, scossi dal
terrore di veder crescere anche su di sé i bubboni della peste.
Sentendo
salire di nuovo la nausea accelerò il passo, evitando di camminare rasente ai
muri delle case, per non rischiare che gli arrivasse in testa un secchio di
escrementi svuotato in strada da qualcuno che se ne infischiava delle
disposizioni sanitarie, o che addirittura cercava di vendicarsi
in quel modo
per la segregazione che doveva subire.
E poi
c’erano gli indumenti e gli effetti personali dei malati, che i monatti
gettavano dalle finestre per risparmiare tempo e che cadendo imbrattavano i muri
con schizzi di materia putrida che segnavano gli edifici come se fossero stati
messi all’indice.
Niccolò non
sapeva come si trasmettesse la malattia, ma alcuni suoi amici che lavoravano al
tribunale di Sanità gli avevano consigliato di stare lontano da quella materia
infetta in quanto ritenuta la causa più probabile del diffondersi
dell’epidemia.
Quando
svoltò in via della Vetra fu costretto ad arrestarsi.
Davanti a
lui si ergeva qualcosa di ancora più spaventoso delle secrezioni degli
appestati o delle grida dei disgraziati rinchiusi nelle loro case.
Vide un
presidio del Consiglio dell’Inquisizione Generale, con il patibolo per le
esecuzioni e le travi a cui venivano legati gli accusati di pratiche immonde
come la stregoneria, l’unzione o la predicazione dell’eresia, affinché fossero
torturati e potessero, confessando, purificare la loro anima
prima del
supplizio inevitabile.
Niccolò
trattenne un moto di rabbia e strinse con forza i pugni. Quei presidi della
Santa Inquisizione avevano il compito non tanto di punire i colpevoli di
qualche eresia, quanto di diffondere la paura e fare capire che la Corona di
Spagna era ancora vigile sul Ducato: nonostante le pressioni esercitate
dall’Arcivescovado e dal Borromeo, il Consiglio, che rappresentava l’Inquisizione
Spagnola, aveva
piena
autonomia decisionale in tutto ciò che riguardava atti di stregoneria o
l’abominio protestante. Era una guerra in atto tra poteri forti che si
riversava sulla povera gente e che prevedeva la nascita di quelle strutture del
terrore nei punti nevralgici della città, per stringere le briglie del cavallo
malato e sofferente in cui si era trasformata Milano.
Niccolò
restò un attimo a osservare gli abiti bianchi e neri dei domenicani che
allestivano il patibolo e gli attrezzi per le torture, e si sentì arrestare il
cuore nel petto quando si accorse che uno dei prelati, un uomo alto e dallo
sguardo severo, con il naso aquilino proteso verso di lui come il becco di un
rapace affamato, lo stava fissando. Cercò di sostenerne lo sguardo, poi si rese
conto che sarebbe stato un atto d’insolenza: quel domenicano avrebbe anche
potuto essere un commissario inquisitoriale di alto rango, per ciò che ne
sapeva. Abbassò quindi gli occhi e riprese a camminare al centro della strada,
trattenendo a stento la voglia di mettersi a correre per sfuggire alla
pressione dello sguardo del domenicano, che sentiva premere su di lui.
Quando
finalmente svoltò nella piazzetta su cui svettavano le colonne romane di San
Lorenzo, in cui era stato allestito il presidio del tribunale di Sanità, tirò
un sospiro di sollievo e cercò di concentrarsi su quello che lo aspettava. Non
sapeva se Anita era ancora viva oppure no. E, soprattutto, non sapeva quale
delle due ipotesi augurarsi. Perché ormai da troppo tempo ciò che restava di
sua moglie era ben lontano dalla donna che lui aveva amato.
giovedì 10 gennaio 2013
BUON COMPLEANNO, BUTTERFLY EDIZIONI!
Chi ha la passione per la scrittura spesso ha anche un libro nel cassetto o in cuor suo spera un giorno di veder pubblicato qualcosa. C'è chi, come me, nel tempo riesce a fatica a fare di questa passione la sua professione principale.
Quando cominci a conoscere i meccanismi che muovono l'editoria italiana, ti rendi conto che di case editrici serie, non a pagamento e disposte a investire su di te e a promuoverti, ce ne sono davvero poche.
Alcune tentano di farlo, ma soccombono in pochissimo tempo! E spesso quelle che rimangono a galla sono quelle che sfruttano i sogni delle persone, adulando il tuo manoscritto e promettendoti fama e successo, perchè il tuo libro vale e tu sei un buon scrittore... SE... be', se paghi per farti pubblicare, o meglio, se paghi salato per farti sistemare il libro con un editing approssimativo, paghi la stampa di un numero esagerato di copie che non venderai mai e ti autopromuovi, magari a spese tue, perchè questo non fa parte del lavoro di una casa editrice che ha già tanti libri sul groppone....! Non so se rendo l'idea?
(Vero è che l'autore sconosciuto DEVE darsi da fare e non può illudersi di diventare famoso solo perchè pubblica un libro! Resta il fatto che nessuno dovrebbe pagare per stampare qualcosa che non è degno di essere letto... nè essere lasciato allo sbando dopo aver pagato... )
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Sito Web |
E poi c'è Butterfly Edizioni!
Appare come un'oasi fresca e pulita in un deserto di sabbie mobili. Tu ti avvicini titubante, all'inizio. Forse è un miraggio, pensi. E invece è tutto vero!
Butterfly Edizioni nasce il 10 gennaio 2011 a Correggio (RE) grazie alla passione di Argeta Brozi. La casa editrice è la SECONDA più giovane d'’Italia e intende valorizzare le Opere di emergenti ma dà spazio anche a scrittori noti. Butterfly Edizioni è una casa editrice innovativa, giovane e dinamica che intende sostenere lo scrittore nei vari passaggi dalla pubblicazione alla promozione e, nello stesso tempo, vuole mantenere prezzi dei libri agevolati per i lettori. Butterfly Edizioni crede nella sinergia tra le due parti, editore e autore, nel lavoro di gruppo, perché da soli si va veloci, ma insieme si arriva lontano.
E alla domanda cosa fate per me autore? rispondono diamo forma ai tuoi sogni...
Se non scrivi, ma ami leggere, allora potresti trovare nel catalogo Butterfly Edizioni dei libri molto interessanti e coinvolgenti e a prezzi competitivi, la selezione dei manoscritti che arrivano è accurata e solo il testo di qualità viene pubblicato.
Buon Compleanno di cuore, Butterfly Edizioni, e un augurio speciale a tutti voi che la rappresentate, Argeta in testa! Ad maiora!
Se vuoi fare il tuo augurio alla casa editrice CLIKKA QUI! C'è una sorpresa per te!
Se hai un manoscritto da proporre ma sei incerto, contattami! info@irenepecikar.com
lunedì 7 gennaio 2013
Odyssea. Oltre il varco incantato di Amabile Giusti - Baldini & Castoldi editore - Presto in libreria!
L'avevamo già apprezzata molto per Cuore Nero, ora Amabile Giusti torna con il primo capitolo di una saga che vi conquisterà! Presto in libreria!
Odyssea
Oltre il varco incantato
di
Amabile Giusti
Baldini&Castoldi
pp. 368
euro 15.90
Tu sei una strega, Odyssea,
ma non una strega qualsiasi.
Chi ha i poteri
non ha bisogno di formule.
Ha tutto dentro di sé.
Basta che desideri.
UNA RAGAZZA QUALUNQUE
C’era qualcosa di delicato in lei, di impacciato e tenero,
ma nemmeno l’occhio più affettuoso avrebbe potuto definirla bella.
UNA RIVELAZIONE
Per dodici anni tua madre ti ha sepolta nella più totale normalità.
Ma se i poteri sono sopiti in te, si manifesteranno.
UN AMORE NON CORRISPOSTO
Lo odiava con tutta se stessa, con tutto il suo sangue, con tutta la sua carne.
E lo odiava ancora di più perché sapeva di non odiarlo affatto.
UNA VITTIMA PREDESTINATA
Nessuno poteva più ignorare il pericolo.
Squartavene voleva ucciderla e non si sarebbe fermato.
Se
potesse, Odyssea, sedici anni e nessuna bellezza, chiederebbe molte
cose a sua madre. Ad esempio perché da anni sono costrette a vivere come
fuggiasche, senza una meta, una casa stabile e, soprattutto, senza un
padre. Finché in una tiepida notte d’estate, attraversando un varco
incantato nascosto nel bosco, sua madre la riporta a Wizzieville, dove è
nata, e lei scopre di appartenere a una cerchia di persone speciali,
dotate di rari poteri.
Incredula,
Odyssea si immergerà in un mondo intriso di magia, dove ogni esperienza
– per lei che è sempre vissuta lontano da tutto e da tutti – ha il
sapore della prima volta, ma si accorgerà presto, suo malgrado, che
dietro la facciata idilliaca e fatata di Wizzieville brulica il Male. Un
nemico sanguinario – lo stesso che ha ucciso suo padre dodici anni
prima – perseguita la sua famiglia da generazioni ed è tornato sotto
mentite spoglie per attuare il suo crudele disegno.
Mentre
la paura di non essere in grado di gestire i propri poteri arriverà a
farle rimpiangere la vita fuori di lì – senza amicizie, né legami né
radici – e a temere per l’incolumità di chi ama, terribili,
inconfessabili incubi la assaliranno, come artigli di un doloroso
passato.
Come
se non bastasse l’amore la coglie di sorpresa. Il misterioso e impavido
Jacko, un giovanotto di poche parole che, a differenza di tutti gli
altri, la tratta senza solennità e cerimonie, entra nella sua vita e
devasta il suo cuore inesperto. Ma come mai tutti lo temono e lo
disapprovano? Può fidarsi di lui?
Minacciata
da un’oscura condanna, Odyssea dovrà crescere e trovare in sé la forza
di difendersi. Non può concedersi errori. Il nemico è in agguato.
Potrebbe essere ovunque, potrebbe essere chiunque.
L'autrice:
Amabile Giusti è un avvocato, ma non si sente avvocato: scrivere è la sua vera passione da sempre. Dopo il suo romanzo d’esordio, Non c’è niente che fa male così (La Tartaruga edizioni), con Cuore nero ha conquistato pubblico e critica; romanticamentefantasy.blogspot.it lo ha eletto Best Young Adult 2011. Odyssea. Oltre il varco incantato è il primo volume di una saga.
cuorenero.amabilegiusti.it
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